martedì 23 gennaio 2018

L’attualità dell’aśvamedha

L’attualità dell’aśvamedha

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Il rito dell’aśvamedha, il sacrificio del cavallo, è uno dei più antichi dell’umanità ed è presente nelle tradizioni di diversi popoli, e i suoi echi arrivano fino ai giorni nostri. Vediamo come: nel suo significato originario e più antico, i riti dell’aśvamedha sono da accostare ai riti notturni che gli antichi sacrificanti vedici compivano per aiutare Indra nella lotta contro Vritra: “La durata del sacrificio Ashvameda non è ancora fissata poiché dipende dal ritorno del cavallo. Nel Rig Veda (I-163, 1) il cavallo [aśva in sanscrito] del sacrificio è identificato con il Sole che si muove nelle acque. Il ritorno del cavallo sacrificale può, forse, simboleggiare il ritorno del Sole dopo la lunga notte [...], erano compiuti per aiutare Indra nella battaglia contro Vala e liberare l’Alba e il Sole dagli artigli di costui”.[1]
Questi riti venivano compiuti nel lungo inverno composto da una lunga notte composta da 100 “giorni” che gli antichi progenitori dei rishi vedici vivevano al tempo della loro permanenza nella zona circumpolare, quando essa era adatta alla vita.[2] Iniziavano perciò all’inizio di questo lungo inverno che durava 100 giorni, dopo 10 mesi “di sole”, e servivano per donare forza a Indra per aiutarlo a recuperare il Sole e riportarlo nell’emisfero superiore del cielo. Pertanto “[...] non dobbiamo sorprenderci che il Shata-râtra, o sacrificio del Soma, appaia sotto la forma di cento sacrifici Ashvamedha nei Purâna. La tradizione è sostanzialmente la stessa nei due casi e si può spiegare facilmente e naturalmente con la teoria artica”.[3]
Troviamo a Roma il primo discendente di questo rito, ormai molto spoglio, e cioè l’October Equus. Plutarco ci informa che alle idi di Ottobre “dopo una corsa di cavalli, il cavallo di destra del carro vincente viene consacrato e sacrificato a Marte”[4], successivamente qualcuno taglia la coda all’animale e la porta nella Regia e con essa insanguina l’altare, mentre due gruppi sfidanti, provenienti gli uni dalla Via Sacra e gli altri dalla Suburra, lottano tra loro per la testa del cavallo. La provenienza dei due gruppi sta a indicare gli schieramenti, a favore delle potenze del giorno i primi, e di quelle notturne i secondi. Plutarco, a cui non era più evidente il simbolismo del rito, si chiedeva infine perché fosse proprio un cavallo vincente ad essere immolato.
Dumézil ebbe il merito di accostare il rito dell’October Equus all’aśvamedha, e grazie a Tilak sappiamo perché questo fosse officiato proprio in Ottobre. Infatti il calendario romano arcaico era composto di soli dieci mesi, ricordo della condizione dell’antica patria delle origini in cui il Sole splendeva sopra l’orizzonte per dieci mesi appunto, per sprofondare definitivamente “nel quarantesimo giorno di Sharad [autunno]” per altri due, causando una lunga notte invernale in cui bisognava aiutare gli déi per riportare la vittoria della luce sulle tenebre. Per questo motivo il rito dell’October Equus era celebrato proprio nel periodo in cui nelle regioni circumpolari il Sole veniva inghiottito e iniziavano i riti dell’aśvamedha.
Questo rito interessò anche Federico II ed è connesso con quanto sta succedendo oggi in Medio Oriente. Si narra che un giorno in un colloquio con un dotto ebreo, l’imperatore gli chiese come mai Maimonide, né nella ‘Guida dei dubbiosi’, né nelle ‘Ragioni dei precetti’ avesse spiegato l’origine di un singolare rito mosaico secondo il quale la purificazione dovesse essere fatta con le ceneri di una vacca rossa. All’impossibilità di avere una risposta, Federico II propose una sua spiegazione facendolo derivare da un antichissimo rito dell’India, l’olocausto del leone fulvo di cui parla un non ben identificato ‘Libro dei sapienti indiani’.[5] Secondo l'imperatore si sarebbe poi sostituito al leone il cavallo.
A. Ianniello ci da la chiave quando afferma che “La ‘purificazione’ di cui parla Federico II in realtà è riferita ai riti del Tempio, il che ne spiega il disuso e l’incomprensione delle sue motivazioni. Tant’è che c’è a Gerusalemme il ‘Temple Institute’ che, molto seriamente, progetta la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (che sarebbe il Terzo Tempio). C’è il sito Internet ed hanno già costruito molte suppellettili (è un ‘ente morale’ cui si possono destinare donazioni). Oggi ha l’appoggio della maggioranza degli Israeliani, a differenza di qualche anno fa. Ebbene, essi cercano la ‘Red Heifer’, la vacca fulva, la ‘giovenca rossa’, alla lettera, le cui ceneri usare per la purificazione e consacrazione del locale dove riallocare il Tempio”.[6]
Ora, tre anni fa è nata la giovenca rossa (cfr. https://www.notiziecristiane.com/terzo-tempio-disraele-e-nata-la-mucca-rossa-iniziano-gli-scontri/), e i recentissimi movimenti per aprire la strada a Gerusalemme capitale d’Israele vanno in questa direzione.  Tutto ciò è connesso, come si sa, al “passaggio dell’Eufrate dei re che vengono dall’Oriente” e all’emersione di nuove pericolose figure.




[1] L.G.B. Tilak, La dimora artica nei Veda, ECIG, Genova 1986, p. 163.
[2] A tal proposito, su di una prima tappa intermedia della diaspora degli indo-europei dalla regione artica alle penisole siberiane bagnate dal Mare di Kara, alle foci del fiume Ob, cfr. G. Georgél, Le quattro età dell’umanità, Il Cerchio Editore, Rimini 1982.
[3] L.G.B. Tilak, La dimora artica nei Veda, pp. 163-164.
[4] G. Dumézil, La religione romana arcaica, BUR saggi, Milano, marzo 2016, p. 198.
[6] Ibidem.